a cura di Marco Belpoliti
Articolo preso da http://www.doppiozero.com/materiali/clic/viaggio-italia
Per oltre cent’anni l’immagine dell’Italia è stata quella fissata dalle fotografie dei Fratelli Alinari: monumenti, piazze, strade, palazzi, case, fotografati in modo frontale, con qualche rara persona nel rettangolo in bianco e nero, o virato in seppia. Un’Italia oleografica, prigioniera del suo nobile passato. Mai che vi figurasse uno stabilimento industriale, le torri di un petrolchimico, i distributori di benzina, le costruzioni moderniste. Questa immagine è continuata intatta durante il Fascismo, e oltre. Era “Venezia unta di piccioni”, come ha scritto una volta Carlo Arturo Quintavalle, insomma il nostro amato Bel Paese. A interrompere per un momento questa oleografia c’era stato il neorealismo, ma nel profondo l’idea visiva che gli italiani avevano del propria terra restava la medesima. Poi all’improvviso è successo qualcosa, uno di quei miracoli la cui potenza si percepisce solo a distanza di decenni. Nel 1984, nel mese di gennaio, appare un sottile volume che accompagna una mostra di ben trecento immagini presso la Pinacoteca Provinciale di Bari. L’editore è Il Quadrante di Alessandria.
S’intitola Viaggio in Italia, e lo curano Luigi Ghirri, Gianni Leone, Enzo Velati, con testi di Quintavalle e un diario di viaggio di Gianni Celati. Di colpo si materializza un altro paese fatto di posti marginali, nastri d’asfalto, città deserte, spiagge, casine abbandonate, strade provinciali, giardini incolti, recinzioni di lamiera, bar e uffici deserti. Si scopre l’esistenza di quei luoghi che capita di vedere “quando sbagliamo strada o siamo smarriti o stanchi, o nelle soste dei viaggi, o nei giorni vuoti, nei pomeriggi in cui non si sa dove rifugiarsi”, come ha scritto vent’anni dopo Gianni Celati. Cosa avevano scoperto Luigi Ghirri e i suoi amici e colleghi fotografi? L’arte zavattiniana degli “incontri non preordinati”. Non la semplice rivalutazione del caso, cosa che avevano già fatto le avanguardie storiche, bensì la banalità del quotidiano. Per dirla con Gilles Deleuze, mentore segreto di questa scoperta del quotidiano, “quella palude in cui sembra sprofondare il pensiero”. La banalità non era più da respingere, bensì da accettare. L’avevano già fatto i neorealisti nei loro film, che non a caso sono dietro gli scatti di Ghirri, Guidi, Basilico, Chiaromonte, Tinelli, ma ora si trattava di qualcosa di veramente nuovo. A separare quella fotografia e cinematografia anni Quaranta dai viaggiatori in Italia del 1984 era il cambiamento stesso del paesaggio: l’Italia in quel decennio era diversa.
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