La mostra “THIS IS STREET PHOTOGRAPHY. Respect the Others – No Web – No Flash!” vuole pertanto proporre uno sguardo “consapevole” sulla fotografia di strada, lontano dalle mode, tipico del linguaggio Mignon e della grande tradizione, creando un percorso visivo nel quale le immagini sono accostate l’una all’altra in modo armonico, e non per autore, costringendo l’osservatore a una lettura più efficace di questo linguaggio fotografico.
La Street Photography trova i suoi riferimenti nella tradizione fotografica dei Grandi Maestri e vuole rappresentare l’Uomo rendendogli omaggio, mostrando la “normalità” come qualcosa di eccezionale e usando la fotografia come “ricerca dell’altro” che diventa “ricerca interiore”. Una Fotografia, quindi, che ha contenuto e che, oltre ad essere “una storia”, ha la capacità di sedimentare e “fare storia”. E’ la Fotografia di chi cerca di imparare dalle lezioni di quelli che lo hanno preceduto, di chi si confronta apertamente e direttamente con gli altri e ama vedere le mostre con gli originali, stampare le proprie immagini, documentarsi nei libri fotografici, di chi omaggia ogni sconosciuto quando gli scatta una foto. E’ una Fotografia che non ricerca l’originalità e la provocazione a tutti i costi, ma che risulta intramontabile nella sua funzione di linguaggio condiviso. E’ la Fotografia che cerchiamo di fare da vent’anni.
Tuttavia si è sviluppato un modo diverso di intendere il genere, in voga sopratutto nel Web, nel quale non sono tanto le persone a essere al centro della ricerca del fotografo ma è piuttosto un certo gusto morboso per “l’altro” inteso come “diverso”, come “soggetto intrigante”, oggetto di uno “sguardo” che non vuole capire e conoscere ma che osserva senza vedere. Una fotografia che sembra quasi ampliare le distanze più che ridurle, nella quale è l’eccezionale a essere riportato a una condizione di normalità, ma in chiave svilente. Se la fotografia di strada, quella che si propone come interprete del mondo reale, si rifà al lavoro del miglior fotogiornalismo e alla pagina memorabile della fotografia umanista sopratutto francese, fino ad arrivare alla vera e propria Street Photography americana degli anni cinquanta e sessanta, i “nuovi streeter” si rifanno a figure considerate da molti addirittura “mitiche”: autori come Bruce Gilden per i quali sparare in faccia alla gente il flash e addirittura aggredirla verbalmente rappresenta la norma. Cercano “cose strane”, “fatti strani”, “gesti stravaganti”. Niente poesia, niente pathos, niente lirismo. Molti inoltre non sono minimamente interessati all’Uomo in quanto tale, ma cercano solo stranezze e coincidenze (di forma, cromatiche, gestuali). Nel Web impazzano tutorial e consigli confondendo la Street con il reportage e addirittura con il classico ritratto, anche se di perfetti sconosciuti. Ma la cosa più grave è che queste persone sono assolutamente irrispettose degli altri, rendendo decisamente meno edificante la figura del fotografo di strada come esempio di valore sociale; una piaga da combattere, se non altro per il diritto che abbiamo di non essere confusi con “loro” quando andiamo a fare le nostre fotografie.
E’ un’epoca, quella che stiamo vivendo, in cui il mondo delle immagini sembra prendere il sopravvento sull’immaginario che le dovrebbe ispirare. E’ diventato troppo facile scattare fotografie che, anche quando tecnicamente ineccepibili, spesso non hanno la capacità di suggerire nulla che vada oltre la superficie del supporto che le contiene. Forse ancora, in modo particolare per la fotografia di strada, il suo essere in questi anni “di moda” non trova ragione nel significato profondo che il mezzo porta con sé sin dall’epoca della sua invenzione: quel rapporto intimo e indissolubile con il Tempo “istantaneo”, che la Fotografia ferma nel momento dello scatto e contemporaneamente rende eterno; come ha scritto Naomi Rosenblum a proposito di un nostro lavoro: “Immagini capaci di sottolineare i nostri sentimenti nei confronti del mondo in cui viviamo devono contenere qualcosa di più di un mero soggetto intrigante”. In questa frase, alcuni termini appaiono particolarmente significativi: “qualcosa di più di un mero soggetto intrigante”. Essi descrivono proprio i limiti, concettuali e pratici, che porta con sé un certo modo di intendere la fotografia di strada.
Tanta confusione sull’argomento è dovuta senz’altro ai canali di diffusione delle informazioni, e all’uso indiscriminato che molti ne fanno. Il problema fondamentale sta nel fatto che molta informazione di basso profilo (che non significa formazione!) si è spostata sul Web. Libri e riviste di settore, un tempo strumenti chiave per la formazione del fotografo, oggi sono sempre più disinvoltamente sostituiti con pagine di siti, blog e social network, alla ricerca di “notizie” facili e veloci quanto, troppo spesso, discutibili nei contenuti. Se un buon libro, oltre ad essere frutto della ricerca dell’autore, è da sempre sottoposto al vaglio della critica dei lettori, il Web è invece una specie di “far west”. In Internet, spesso le informazioni non prendono corpo alla luce di una selezione critica ma vengono valorizzate solo perché “cliccate” e “condivise” da molti. Alla qualità della notizia si sostituisce quindi la quantità. In questo modo, troppo spesso, informazioni errate ed esempi distorti prendono il sopravvento. Come evidenziato da Riccardo Falcinelli nel suo “Critica portatile al visual design”, un’immagine è soprattutto “l’uso che se ne fa”; nel momento stesso in cui le fotografie vengono inserite in strumenti di “condivisione inconsapevole” come Flickr (o similari) sono automaticamente “consumate”.
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