Scritto: Marilena Di Tursi
“Man Ray: l’uomo infinito“, la mostra ospitata al Castello di Conversano nell’ambito del festival di letteratura “Il Libro Possibile- Arte“, è un evento organizzato dall’associazione Artes col sostegno del Comune. Prende il nome da “L’Homme Infini” (1970, opera tarda di un Man Ray (Emmanuel Rudzitsky, Philadelphia, 1890 – Parigi, 1976) tornato alla pittura e soprattutto impegnato a ricalibrare una sintassi surrealista, ritmata da manichini e congegni saturi di crediti da Picabia. Nell’ampia retrospettiva, curata da Vincenzo De Bellis, un centinaio di opere, provenienti dalla Fondazione Marconi, restituiscono un percorso che parte dall’incontro con Marcel Duchamp, amico e ispiratore degli Oggetti d’affezione, parenti stretti dei ready-made, ma più incongruamente eccentrici negli accostamenti e negli esiti semantici. Nelle otto aree tematiche della mostra vengono vagliati i suoi rapporti con il dadaismo e il surrealismo ma soprattutto l’attrazione per la fotografia che Man Ray contribuisce a smarcare da ogni subordinazione concettuale e a condurre verso un ardito sperimentalismo linguistico. Pertanto con i Rayogrammi e con le altre manipolazioni in fase di stampa, solarizzazioni e viraggi, la fotografia diventa ‘produzione’ piuttosto che strumento di riproduzione con molti esempi in mostra. Dai ritratti di Duchamp adorno dell’illuminante tonsura a stella, o in versione Rrose Sélavy, dalle plastiche lacrime modellate come diafane sfere su primi piani sbiaditi(‘Les Larmes’), dagli ovali archetipi imparentati a maschere africane (Noire et Blanche), dal fondo schiena variato in un sensuale strumento musicale (Le violon d’Ingres) fino a chiudersi sui 50 volti di Juliet Browner, ultima compagna e musa.