Scritto da Giorgia Coghi
Lo street artist più discusso al mondo, Banksy, è arrivato a Roma; con una mostra che non vuole essere una “personale antologica” –come ci tiene a sottolineare uno dei curatori, Stefano Antonelli-, ma che di fatto lo è; con circa 150 opere sue, tra serigrafie, pitture su legno e metallo, sculture e copertine di dischi. Ha inaugurato infatti ieri, a Palazzo Cipolla, con il titolo generico di Capitalism, War & Liberty, questa arguta, e alla moda, trovata espositiva promossa dalla Fondazione Terzo Pilastro, e messa insieme da 999Contemporary e Ancoris Andipa, uno dei principali dealer di Banksy.
Anche se quest’ultimo non è stato direttamente coinvolto, si sono potuti raccogliere pezzi inediti e altri tra i più noti da diverse collezioni private internazionali. Sembra dunque un progetto di successo garantito, quello dell’avvocato Emmanuele F. M. Emanuele, presidente della Fondazione e principale ideatore dell’esposizione.
LUCI E OMBRE
La mostra, tuttavia, ha trovato avvio tra i paludamenti di un palazzo storico e il tradizionale cerimoniale dell’attempata intellighenzia romana. Perciò, fatta eccezione per uno spiritoso banchetto di caramelle, quest’accoglienza magniloquente ha cigolato un po’ al pensiero delle presunte consuetudini di un artista “di strada”, che peraltro fa dell’anonimato il suo attributo principale.
Sofisticate signore in tailleur e uomini in doppio petto contemplavano divertiti e increduli, anche se forse non troppo convinti, questo repertorio d’irriverenza –criticandolo, confrontandolo, storicizzandolo. Può un’opera concepita per il paesaggio urbano entrare in una galleria? E sotto quale chiave di lettura va interpretata: estetica o politica? Che fine fa la sua attualità? E il suo ruolo contestatorio? Un tema questo……. continua